lunedì 11 giugno 2007

L´Unione alla disfida di Pistoia

Oggi si è votato, è andata. Per chi non lo avesse letto, riportiamo l'articolo di Ilvo Diamanti uscito domenica 10/6 su La Repubblica. Una lettura attenta del processo politico che stiamo vivendo.
Le ultime righe sono centratissime. A voi.

L´Unione alla disfida di Pistoia, di Ilvo Diamanti
Oggi si rivota. L´attenzione e la tensione salgono di nuovo. Ogni elezione, d´altronde, sembra divenuta l´ultimo atto di uno scontro frontale. La disfida finale. La provincia di Genova e il comune di Pistoia assumono, così, significato politico nazionale. Non è normale. Ma tanta nevrotica inquietudine riflette lo stato della politica. Lo stato dello Stato. La difficoltà di governare e di decidere. L´insofferenza dell´opposizione a fare l´opposizione per cinque anni. La provvisorietà della maggioranza, dei suoi soggetti e dei suoi progetti politici. Il penoso risultato conseguito dal centrosinistra al primo turno delle amministrative risente di questa fase fluida, che intacca direttamente i rapporti con il territorio e con la società. Dovunque. Soprattutto dove la sinistra è più forte. Per cui conviene non fermare lo sguardo a Nord del Po. Perché il declino più significativo - e più preoccupante - per la sinistra è avvenuto nelle regioni del centro. Nel "cuore rosso" d´Italia, come l´ha definito Francesco Ramella. La zona più stabile e strutturata, dal punto di vista elettorale. Tanto da indurre alcuni analisti a rovesciare la tradizionale mappa geopolitica. Opponendo alla "questione meridionale" e a quella "settentrionale" una "questione centrale" (come ha fatto Antonio Gesualdi: Un´altra Italia - ovvero come risolvere la questione centrale, Mazzanti Editori 2006). Ebbene, il voto di due settimane fa ha intaccato a fondo il mito dell´immobilità politica della "zona rossa". Anche in precedenza, per la verità, i segnali, al proposito, non erano mancati, come mostrano, ancora, le accurate esplorazioni di Francesco Ramella. I primi scricchiolii si colgono negli anni Novanta, quando, dal 1997 al 1999, il Polo conquista 8 dei 25 comuni capoluogo. Una fase culminata nella sconfitta di Bologna, capitale simbolica dell´Italia rossa. Luogo paradigmatico della "questione di centro". Un evento che serve a scuotere le certezze della sinistra. A dimostrare che tutto è possibile. Che la storia non è predetta dal passato, ma occorre contribuire a scriverla, un giorno dopo l´altro. Per cui, negli anni seguenti, il centrosinistra si scuote e pare riaffermare la propria forza, nella terra di elezione. Fino a riconquistare Bologna, nel 2004. Mantenendo la distanza dal centrodestra su livelli che si possono considerare incolmabili: circa il 20%. Alle elezioni politiche del 2006, infatti, i DS ottengono (al Senato) un buon risultato, rispetto al 2001. Quando, però, avevano registrato una marcata flessione elettorale, che oscillava tra il 3,9% della Toscana e il 7,3% dell´Umbria. Allungando lo sguardo fino a 1996, invece, si colgono perdite piuttosto rilevanti: tra il 5 e il 6%. Anche rispetto alle provinciali del 2004 l´arretramento percentuale risulta consistente (mediamente intorno al 4%) e generalizzato in tutte le province. Un declino che non è compensato dalla sinistra radicale, che, nel complesso, tra il 1996 e il 2006, si mantiene intorno al 12%. A ben guardare, dunque, le basi del centrosinistra appaiono meno solide e meno stabili di quel che si potrebbe immaginare, nell´Italia di centro. Come confermano, impietosamente, i risultati del primo turno delle amministrative. Se prendiamo in esame i 20 comuni al di sopra dei 15mila abitanti in cui si è votato, nelle regioni "rosse" dell´Italia centrale e nelle province, tradizionalmente "rosse" della Liguria di levante, i candidati di centrosinistra, rispetto alle elezioni precedenti, hanno perso, in media, il 5,1%. Considerando le liste, l´Ulivo (Ds e Margherita, insieme) ha ceduto il 7,9%. La sinistra radicale molto meno: lo 0,5%. Lo stesso avviene nel caso delle province (Genova, La Spezia e Ancona). In misura, però, più ampia ed evidente. Visto che i candidati del centrosinistra perdono, rispetto alle precedenti elezioni, quasi l´8%, l´Ulivo cala del 10%, mentre le liste di sinistra (RC, Verdi, PdCI) restano sostanzialmente dove erano. Cosa sta erodendo le radici del voto di sinistra, al punto da rendere instabile e insidioso un territorio da sempre ritenuto amico? Le cause sono diverse. Alcune di lungo periodo. 1. Lo sfaldamento della presenza organizzativa dei partiti, dopo la fine del PCI.2. Le difficoltà crescenti di trasmissione intergenerazionale dei valori e degli orientamenti politici. Nelle zone rosse, infatti, i più giovani si dimostrano assai più tiepidi e disincantati, politicamente, rispetto ai genitori (come mostrano le analisi di Luigi Ceccarini sui dati di Itanes e laPolis). Alcuni ragazzi della Val d´Elsa, intervistati nel corso di una ricerca dell´Università di Firenze diretta da Mario Caciagli, affermano che non avrebbero problemi a fidanzarsi con una ragazza politicamente di destra. Ma poi ammettono che avrebbero serie difficoltà a presentarla ai nonni…3. La crisi di quello che Edmondo Berselli ha definito il "patto socialdemocratico", che, nelle zone rosse, legava i partiti di sinistra alla classe operaia e ai ceti medi privati: artigiani e commercianti. I quali, come ha mostrato l´elezione di Guazzaloca a sindaco di Bologna, da anni hanno svoltato a destra. 4. A ciò si aggiungano alcune difficoltà emerse più di recente. Anzitutto, come ha suggerito Carlo Trigilia, il rapporto fra gli amministratori e la società locale. I sindaci delle grandi città, in particolare, appartengono al ceto politico-professionale. Esperti ed efficienti. hanno surrogato il cedimento dell´organizzazione di partito ricorrendo all´immagine e alla personalizzazione. Hanno, spesso, preferito la visibilità offerta dai media alla fatica della mediazione. Al confronto con la pluralità delle rappresentanze sociali. Il che ha indebolito il loro legame con la realtà locale. E ne ha rinsaldato, nuovamente, i rapporti con il partito, divenuto, nel frattempo, assai più centralizzato. 5. Tuttavia, è indubbio che queste difficoltà siano state complicate, fino all´estremo, dalla crescente impopolarità del governo dell´Unione. Ma soprattutto dal tortuoso cammino dei partiti di centrosinistra. E, in particolare, dalle vicende del Partito Democratico. Non è un caso che le liste unitarie DS e Margherita abbiano sofferto più delle altre, in queste elezioni. Il che è stato interpretato, da alcuni, come un segno, dell´impraticabilità di quel disegno. Dell´impossibilità di unire ciò che la storia della Repubblica ha diviso. In effetti, le indicazioni del voto, a noi, sembrano diverse. Infatti, alle elezioni politiche del 2006 la lista Uniti per l´Ulivo ha conseguito un risultato molto lusinghiero nelle regioni rosse. Molto migliore rispetto a ciò che DS e Margherita hanno ottenuto, singolarmente, al Senato. Inoltre se, al primo turno di queste amministrative, i moderati dell´Ulivo hanno subito una sconfitta pesante, la sinistra radicale non ne ha beneficiato. Per nulla. Molti elettori di centrosinistra, semmai, hanno denunciato la loro delusione rifugiandosi nell´astensione. Che, nei comuni capoluogo delle zone rosse (più la Liguria), è cresciuta del 4,6%. Oltre il doppio rispetto al contesto nazionale.Più della rinuncia all´orgoglio comunista e al richiamo socialista, secondo noi, pesa l´insoddisfazione suscitata dal Partito Democratico. Accolto da grandi attese, all´indomani dei congressi celebrati da Ds e Margherita poco più di un mese fa. Frustrate immediatamente dai metodi opachi e tortuosi con cui lo si sta costruendo. Fra mille mediazioni interne ai gruppi dirigenti dei partiti nazionali. Il che contrasta violentemente con il "modello" delle zone rosse. Dove la politica ha tradizioni territoriali profonde e radicate. Fa parte della vita quotidiana. E´ occasione di incontro, socialità, partecipazione. E´ questo, secondo noi, il male che suscita insofferenza a Pistoia. Come a Genova, Todi, Ancona. Il "vizio romano", che affligge il centrosinistra. Lo erode alla base, ne logora le radici. Scava l´abisso del Nord. Smotta la terra del Centro. Mette a rischio le fondamenta della sinistra.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

L'analisi è seria.
Come la situazione, e i risultati toscani non sono stati PER NIENTE rosei.

La domanda è: ci aspettavamo qualcosa di diverso da questo?

Io personalmente, no.

E non perché sia un indovino, ma perché ho provato a calarmi nei panni di un elettore di Sinistra ma non "partiticamente" impegnato.
E fra l'altro questo è il target della nostra regione.

Se io fossi stato in quei panni, cosa avrei fatto?

Se avessi avuto una forte coscienza civica, sarei andato a votare, senza convinzione.
Se avessi avuto una coscienza civica un pò meno strutturata, sarei rimasto a casa.

E sapete perché? Perché non tutti coloro che votano a Sinistra si vedono nel PD, inutile raccontarsele (soprattutto alla luce degli ultimi mesi).

E però la Sinistra (cioè Rifondazione, PDCI...) non hanno ancora la maturità tale da accogliere questi elettori.

Risultato: la gente che per propria storia voterebbe a Sinistra...sta a casa.

Ora: non penso di aver detto grosse eresie. E penso che un processo del genere ce lo potevamo aspettare, quando abbiamo deciso di fare e credere in questo PD.

Il più grosso errore che stiamo facendo è credere che ciò che non funzionava ieri, cambi oggi, per una nuova "autocoscienza".

Io non ci credo. E sono in molti a non crederci. La cosa più sensata che possiate fare, se proprio volete portare avanti il PD, è quello di farlo con spirito di contrapposizione verso coloro che lo fanno per spirito di mantenimento. Questo può comportare una certa dose di scontro, ma se voelte creare un qualcosa che non abbia le pecche del passato, avete bisogno di una rottura totale.

Anonimo ha detto...

io penso che dopo le aspettative di ds e margherita si dovesse e potesse fare più e meglio, e che oggi risentiamo di questo ritardo. per questo la responsabilità che sta sulle nostre spalle non è di poco conto. serve un protagonismo dei territori davvero straordinario per colmare le lacune che a roma stanno emergendo.

Anonimo ha detto...

dopo le aspettative suscitate dai congressi volevo dire

Anonimo ha detto...

Sì, hai ragione. Credo però che anche dalle nostre parti si sia un pò in balia del vento.

E' che fondamentalmente siamo impreparati a rimischiare il mazzo. Un pò perché da noi è sempre stato facile governare, un pò perché muoversi a livello locale quando al nazionale fanno cavolate, è difficile.

E' un problema che ci affliggeva anche quando eravamo Ds.

La situazione è preoccupante. E lo è per tutta la Sinistra. Sia PD o non PD.

Vedo in giro tante iniziative, ma mancano di un quadro che le unisca. E' come se Ds e Margherita fossero indecisi tra il seguire la strada "popolare" o lo strada "fusione fredda". Non so che strada prenderanno, ma di una cosa sono certo: non si improvvisa in breve tempo quello che necessiterebbe di un tempo lungo e di menti straordinarie.

Anonimo ha detto...

però se non accellerassimo sono convinto che passerebbe nell'opinione pubblica l'idea che "non è cambiato niente", o che se è cambiato lo è in peggio. e quando parlo di accelerazione la intendo nel senso "popolare" come dici tu, non certo come soluzione riduttiva. penso si debba dare fiato all'idea di un partito capace di interpretare la modernità, di una operazione di lungo respiro, non a un "pasticciaccio" legato a una o all'altra stagione di governo.

Anonimo ha detto...

Accelerare è indispensabile, ma anche altamente rischioso. Perché quando si accelera c'è sempre una variabile pericolosa e difficilmente piegabile ai nostri bisogni: il tempo.

Quello che serve non è tanto un'accelerazione, ma una presa di coscienza.

E la presa di coscienza non viene a comando, magari aumentando il numero di iniziative, o cominciando dall'oggi al domani a parlare con la gente.

Perché si può parlare anche con migliaia di persone, ma se non si cambia il nostro modo di recepire quello che dicono, si rischia di creare un qualcosa di populista, piuttosto che un qualcosa di intelligente.

E' come se dall'oggi al domani ci fosse questa rinnovata foga di "consultare il popolo".

Non fraintendermi: ascoltare la cittadinanza è cosa MOLTO importante per un politico o per chi voglia fare politica.

Però la Politica deve avere una sua linea, una sua idea. Pochi punti, ma chiari, che giustificano l'avere in tasca una tessera o il non averla.

In questa fase ci manca un pò questa idea a lungo termine sul come la pensiamo in concreto sulle singole questioni.

La nebbia andrebbe diradata al più presto. Perché rischia di essere una cappa.