lunedì 6 aprile 2009

Relazione introduttiva Montecatini e articolo Claudio Martini (prima pagina Repubblica Firenze 5/4/09)


BOZZA NON CORRETTA – RELAZIONE INTRODUTTIVA Patrizio Mecacci - MONTECATINI – QUALCOSA CHE SERVA – 4-5 APRILE

Benvenuti a Montecatini ai ragazzi toscani, grazie anche alle delegazioni che arriveranno da altre regioni.Record di partecipazione, pernotteremo in più di 150, segno di un movimento che pur privo di un nome e di un simbolo comunque manifesta vitalità. In questi tempi non è poco.

Ringrazio i relatori, stiamo offrendo grazie a loro un appuntamento davvero di qualità, è una grande opportunità per noi poterci mettere a confronto diretto, nei gruppi di lavoro, con esperienze di questo spessore, la tavola rotonda verterà sul tema del rinnovamento generazionale e della costruzione del PD.Andrea Manciulli è riuscito a liberarsi, domani concluderà dopo la tavola rotonda i nostri lavori.Non farò una vera e propria relazione introduttiva, ma mi soffermerò solo su alcuni aspetti di fondo, che stanno intorno a noi. Anche su alcune cose delle quali non parleremo nei gruppi di lavoro. A livello tematico Vittorio Bugli, che è stato relatore alla conferenza programmatica del Pd regionale a Prato, ci darà un sommario delle questioni che principalmente si attengono alle giovani generazioniIn questa settimana abbiamo assistito ad un ritorno della politica. Il G20 ha dimostrato la possibilità di ridefinire con più forza il ruolo delle istituzioni e degli strumenti sovranazionali, trovando la strada di una sintesi alta tra le ragioni anglosassoni e continentali per l’uscita da questa crisi, che è prima di tutto una crisi della politica, delle sue capacità o peggio delle sue volontà di guida dei processi economici e finanziari.La nuova leadership americana ha ottenuto i primi grandi risultati, segnando una svolta netta e coinvolgendo tutti gli attori internazionali, nelle loro pluralità, all’interno di un governo responsabile dei mercati e dell’economia globale. Primi passi, sicuramente: non basteranno da soli, senza una nuova cultura del capitalismo e delle scelte individuali, ma che danno il senso del cammino, se non della meta.Noi però abbiamo un problema. La sintesi dei due approcci, anglosassone e continentale, le scelte di fondo che sono uscite dal g20 potrebbero benissimo rappresentare un decalogo della sinistra europea. Il problema è che la Sinistra Europea, quella Continentale, non c’era. Fatta eccezione per la Spagna di Zapatero. Mentre Silvio Berlusconi costruiva l’ennesimo cabaret, noi abbiamo assistito ad una sintesi costruita dalla Destra europea –guidata dall’asse franco-tedesco Sarkozy, Merkel, Berlusconi aveva altro da fare - e dalla Sinistra anglosassone –Gordon Brown, Barack Obama -. Noi, la nostra cultura politica, le nostre specificità, erano fuori dalla porta.Io penso che il problema della collocazione internazionale ed europea del Pd debba essere inquadrato a partire da questa chiave di lettura. Noi dobbiamo immaginare le condizioni politiche e culturali con cui ricostruire le fondamenta dello schieramento democratico e progressista europeo, sulle parole d’ordine di un nuovo approccio globale, mondiale, comune ai diversi continenti. Ricordiamoci che abbiamo perso una occasione. Negli anni 90 il centrosinistra era al governo in tutta Europa, e non fu in grado di compiere il passaggio tra una unione solo economica ed una compiutamente politica. Se il potere si è fatto globale e la politica è rimasta locale è stato anche per colpa nostra, dobbiamo dircelo. Oggi l’Ue si è allargata ad Est, dove vivono famiglie politiche plurali e diverse dalle tradizioni storiche della vecchia europa; dove la stessa parola socialismo risuona per molti di echi avvicinabili per il nostro orecchio soltanto alle esperienze più pesanti della dittatura e dell’oppressione nazifascista; dove sono aumentati ed hanno preso forza, spinti ed avallati dalle maggiori potenze internazionali, RUSSIA ed USA comprese, nazionalismi e particolarismi, a causa dei quali abbiamo vissuto stiamo assistendo al rischio di una limitazione della capacità di intervento europea, invece che di passi in avanti.Per questo costruire l’europa e gettare le basi di un grande movimento democratico e progressista mondiale sono un compito per il quale vale la pena battersi. Per questo le prossime elezioni europee sono importanti, e non dovremo sottovalutarle. Perché insieme ai socialisti e ai progressisti europei noi dobbiamo costruire quel soggetto che risolve nel profondo delle nostre società le storture di un modello di sviluppo sbagliato e autolesionista. Che rappresenti l’alternativa reale alla crisi del paradigma neoliberista che abbiamo visto all’opera, e che ha miseramente fallito, consegnandoci un mondo più povero e più diviso. Che sappia dialogare per davvero con la nuova leadership americana, al di là degli schiamazzi nelle foto di rito e delle pacche sulle spalle.Ecco perché dal Pd non si torna indietro. Perché ogni passo indietro è un passo minoritario. Perché ogni passo avanti è al servizio della sfida che abbiamo davanti a noi, e per la quale non possiamo confinarci ancora una volta nel reciproco cantuccio.La crisi economica sta circondando sempre più velocemente le nostre vite, trascinando il sistema economico del nostro paese sull’orlo di un baratro che coinvolge il vissuto concreto dei lavoratori e delle famiglie italiane. In questi minuti sta terminando la manifestazione nazionale della Cgil e l’intervento di Guglielmo Epifani, permettetemi di spendere alcune parole. Io penso, innanzitutto, che bene abbia fatto Dario Franceschini a partecipare alla manifestazione di oggi. Molti coordinamenti territoriali dei Giovani democratici hanno lavorato per la partecipazione alla manifestazione, e saluto manifestando tutta la mia solidarietà personale e politica i tanti ragazzi che oggi non sono qui e ci raggiungeranno stasera e domani.Io credo che il primo errore del movimento sindacale italiano sia stato quello di non costruire, al di là delle diversità che permangono nei contenuti di merito, una grande mobilitazione unitaria contro la crisi economica e le scelte insufficienti del governo, per dare voce al dramma quotidiano delle decine di migliaia di aziende in difficoltà, ai milioni di lavoratori che hanno perso la speranza per il proprio futuro, ai milioni di giovani precari che per primi vengono colpiti dai licenziamenti, spesso nel silenzio dei soggetti politici e sociali, ai tanti immigrati con lavori a nero che subiscono nuove forme di sfruttamento in edizioni moderne di schiavitù e di oppressione fisica e morale. Io penso stia qui il merito della Cgil e della manifestazione di oggi, al di là delle posizioni dei diversi sindacati sulla riforma contrattuale e sulla revisione degli aggiornamenti del potere d’acquisto dei salari. E qui penso che bene abbia fatto Dario Franceschini a prendere parte al corteo. Perché oggi è un giorno in cui riacquista cittadinanza e centralità quel mondo, per il quale, uso anche io le parole di Gordon Brown, “dove c'è un disoccupato, un povero, qualcuno che perde il lavoro, non può non esserci un progressista al suo fianco”. Domani dovremo lavorare perché le forze del lavoro tornino unite a manifestare questa centralità, e perché il sogno di un grande sindacato unitario – che ha rappresentato, almeno per me, una delle parti più evocative della fiction su Di Vittorio trasmessa dalla Rai- possa tornare presto a camminare sulle proprie gambe. Da questo punto di vista il contributo che possono dare le giovani generazioni è straordinario, il lavoro che possiamo fare noi è davvero grande. A Londra abbiamo visto, accanto ai lavori delle diplomazie internazionali, anche nuove manifestazioni di una rabbia che Newsweek ha definito populista; Fitoussi ha parlato di “rivolta popolare”. Facciamo attenzione. Perché ancora una volta siamo chiamati in causa noi, perché in uno scenario come questo, se non stanno in campo i soggetti storici del mondo del lavoro, se non rilanciamo la capacità e la forza di rappresentanza delle istituzioni democratiche, possono prendere campo e vincere spinte sbagliate, quelle che vanno dal populismo, appunto, al massimalismo minoritario e settario. Il lavoro non è finito, come decantavano alcuni tromboni negli anni 90. Sicuramente le tecnologie e l’economia hanno reso il lavoro un’altra cosa, ma non assistiamo all’esaurimento tout court dell’attività del’uomo, concreta, fisica e manuale. Molto si è spostato dal vecchio continente al resto del mondo, ma contemporaneamente sono emerse nuove forme di schiavitù e di sfruttamento anche tra di noi, come dicevo prima. Sicuramente il lavoro ha subito una crisi…ma resta la sua pressante presenza, anche se spesso nascosta, e ramificata in forme nuove e plurali. La sinistra e la democrazia hanno camminato su quelle gambe. E se la vogliamo ricostruire, non possiamo scansare il problema, ma affrontarlo nel concreto e con coraggio.Le società non stanno insieme soltanto perché gli interessi economici e strumentali di ciascuno degli attori coinvolti si misurano nell’agone della borsa e dei mercati globali, come diceva Durkheim già agli inizi del 900. Sicuramente l’economia e il capitalismo hanno aperto a tutto il pianeta forme ed opportunità straordinarie ed inedite. Questo non è un luogo né un movimento chiamato a demonizzare le forze della finanza e dell’economia. Ma la società globale, questa società contemporanea deve tentare di misurarsi su nuove parole d’ordine comuni, su un nuovo orizzonte ideale condiviso. Non è vero che il tempo delle ideologie è finito. Ci hanno raccontato per venti anni una balla. Purtroppo soltanto alcune ideologie hanno miseramente e drammaticamente fallito, ma l’ideologia del mercato ha continuato a produrre i propri disastri a livello planetario, riducendo la sfera pubblica a uno specchietto degli interessi che fuori da quella porta hanno continuato la loro azione nefasta.Ora tocca a noi tornare a misurarci su quale idea di futuro vogliamo costruire, perché la società globale, questa società ormai interconnessa a tutti i livelli, possa stare insieme, anche a casa nostra.Massimo Giannini parla stamani del rischio che si spezzi il contratto sociale, quella specie di accordo non scritto tra i diversi attori della società italiana che li lega all’interno di un orizzonte comune. Il nostro Paese è attraversato da dinamiche di diseguaglianza sociale paragonabili soltanto all’America di Bush o ai Paesi dell’Est, dove sono mancate quasi del tutto –tranne alcune stagioni del centrosinistra- politiche redistributive, dov’è mancata la politica, dove la coesione sociale è stata cercata negli scorsi venti anni attraverso l’omologazione dei messaggi pubblicitari con un preciso orientamento, poi trasformatosi in quasi dominio culturale.In questi giorni assistiamo al tentativo di svolta autoritaria e plebiscitaria del centrodestra, che immagina Belpietro alla Direzione del TG1 e imposta l’attacco alla Costituzione e alle prerogative parlamentari, lamentando presunte mancanze di poteri di intervento per il primo ministro e puntando alla maggioranza dei consensi degli italiani per legittimare questo disegno.Noi dobbiamo svegliarci. Perché l’Italia è una cosa diversa. Perché c’è uno spazio enorme per un’idea radicalmente alternativa a quella che ci propinano da venti anni; le questioni di bottega della sinistra italiana hanno finito per consegnare le chiavi del paese ad un accrocchio misto di arrivismo e qualunquismo fai-da-te. Ora dobbiamo ripartire da zero, col Partito Democratico tra le mani e una lunga stagione politica da combattere in prima fila, con dedizione e coraggio.Questa due giorni nasce per disegnare la Toscana e le sue città a misura di futuro, a partire dallo sguardo delle giovani generazioni che la vivono tutti i giorni.In cartellina trovate le schede introduttive dei gruppi di lavoro, dai quali dovranno uscire le proposte che domani presenteremo collettivamente domani, riassunte in un sommario delle azioni che vogliamo inserire nei programmi elettorali dei nostri comuni e delle nostre province.Il centrodestra quando parla di giovani si limita a evocare fantomatici guerriglieri, e a collegare la questione generazionale sempre e comunque al disagio sociale.Noi siamo convinti che investire sulle giovani generazioni significhi scegliere da che parte stare, e per questo il ruolo degli enti locali è un ruolo centrale, se sapremo superare una programmazione scollegata dalla scelta di priorità strategiche e spesso affidata allo spontaneismo locale.Pensiamo che si debbano ricostruire i luoghi della partecipazione giovanile, con il coinvolgimento dell’associazionismo e dei singoli ragazzi toscani.Vogliamo città più sicure anche per noi. Dove quando si esce da un locale si possa trovare un servizio pubblico che ti accompagna a casa, accanto al palloncino e agli alcool test di cui si fa bello il Ministro per la Gioventù, il quale ci dovrebbe spiegare tra un talk show e l’altro quale incisività ha avuto la sua azione nelle scelte di politica economica, contro la precarietà, per la scuola e l’università pubblica, per la creatività, la ricerca e i talenti delle giovani generazioni italiane.Immaginiamo città verdi, ecologiche e sostenibili. Dove si combatta l’esclusione sociale attraverso il ripensamento delle periferie, e dove le politiche urbanistiche diventino l’occasione per dare forza all’integrazione e all’emancipazione dei giovani toscani, insieme agli studenti che da tante parti vengono a formarsi nelle nostre università. Dove i centri storici tornino a vivere, con investimenti mirati ad attività autogestite dal vasto mondo dell’associazionismo – anche per integrare i servizi pubblici, dalle biblioteche ai trasporti- e con nuove programmazioni per l’imprenditoria giovanile. Dove per collegarsi ad Internet non si debba pagare, sempre pagare, ogni volta pagare, mentre nel resto d’Europa si cammina circondati dall’opportunità di aprire una finestra sul mondo, anche negli spazi verdi e nei parchi pubblici.Abbiamo bisogno di un welfare vicino alle esigenze di lavoratori ed imprese, e chiediamo alle province di ripensare le politiche di sostegno degli ultimi anni, continuando ad investire risorse e competenze nell’aggiornamento dei centri per l’impiego, per costruire per davvero la possibilità del life long learning in ogni realtà del nostro territorio.Infine il Partito Democratico, e la costruzione dei Giovani Democratici. Per i Giovani Democratici l’Assemblea nazionale di Milano non è stato un momento che resterà negli annali dei bei ricordi di molti di noi. Siamo nati con molte difficoltà: un regolamento delle primarie imposto e malmesso, un anno di attese, di ritardi, di gente così giovane è così vecchia che cammina per le stanze romane pensando di essere pinco, quando invece resta pallino.Quantomeno abbiamo votato una Direzione nazionale. Per me si riparte da lì. E la Toscana, come sempre, è pronta a dare una mano, con responsabilità e con la voglia di dare inizio ad una fase diversa, dove siano protagonisti i territori, le persone ed i problemi reali dei ragazzi come noi. Non dalla necessità di portare al capo corrente il boccone di una rappresentanza di non si sa cosa, non si sa chi, non si sa quando legittimato e discusso; non con questi; ma con chi ha la voglia e il coraggio di misurarsi con la politica vera, di mettere tutti i giorni la faccia in mezzo alla gente, che lo ha fatto nel passato e che lo farà da domani, quando si candiderà nei consigli comunali o alzerà il bandone del proprio circolo.Noi non saremo la scenografia di nessuno, neanche al congresso del Partito. Ma se non cominceremo a fare politica, alla svelta, abbandonando ciascuno le diffidenze per l’altro, ripartendo tutti insieme da zero e misurandoci col merito e con la concretezza, saranno altri, ancora una volta, i protagonisti indiscussi del nostro dibattito.Noi non saremo la scenografia di nessuno neanche in campagna elettorale, dove ci misureremo per davvero, buttandoci nella mischia e provando a rappresentare sia le esigenze delle giovani toscani sia una nuova generazione di persone che hanno voglia e tempo da investire nella costruzione del Partito Democratico; una nuova generazione già oggi alla guida dei Giovani Democratici e del Partito Democratico, nei territori, nelle sezioni, nelle periferie, ma troppo spesso ignorata dall’opinione pubblica nazionale.Ho letto e condiviso l’analisi di Curzio Maltese di qualche settimana fa sui giovani democratici: diceva le cose che sto dicendo io adesso. Che il Pd c’è, oltre la cortina di fumo delle beghe interne, e lavora, suda e si misura tutti i giorni nel territorio. Solo un problema rilevo: che ce ne accorgiamo soltanto adesso, che di Debora Serracchiani ne esistono migliaia, e che non è giusto accorgersene dopo aver sparato a zero su tutto e su tutti di mese in mese, facendo continuamente di tutta l’erba dei nostri problemi un fascio. Perché così si distruggono anche le cose buone che sopravvivono.Oggi non siamo a Montecatini per caso.Perdonatemi un po’ di piccola storia personale e collettiva, almeno per alcuni di voi –sempre meno per fortuna- so che è così. Io vengo da un Partito e da una giovanile che hanno sempre scelto luoghi “solidi” per affrontare le proprie iniziative politiche. Parlando della Sinistra Giovanile, ricordo delle due giorni straordinarie a Montespertoli, Poggibonsi, Donoratico, Piombino… tutti luoghi in cui il Partito e la Sinistra hanno si sono sempre sentite a casa propria.La provincia di Pistoia è stata attraversata da una stagione politica complicata. Fino dalla “disfida di Pistoia”, come la definì Ilvo Diamanti nell’occasione delle elezioni comunali del 2007. Vi prego di sopportare questa breve citazione, perché mi serve davvero. Diamanti, parlando dell’arretramento potenziale della Sinistra nelle Regioni rosse, diceva, in conclusione del suo articolo:“Più della rinuncia all'orgoglio comunista e al richiamo socialista, secondo noi, pesa l'insoddisfazione suscitata dal Partito Democratico. Accolto da grandi attese, all'indomani dei congressi celebrati da Ds e Margherita poco più di un mese fa. Frustrate immediatamente dai metodi opachi e tortuosi con cui lo si sta costruendo. Fra mille mediazioni interne ai gruppi dirigenti dei partiti nazionali. Il che contrasta violentemente con il "modello" delle zone rosse. Dove la politica ha tradizioni territoriali profonde e radicate. Fa parte della vita quotidiana. E' occasione di incontro, socialità, partecipazione. E' questo, secondo noi, il male che suscita insofferenza a Pistoia. Come a Genova, Todi, Ancona. Il "vizio romano", che affligge il centrosinistra. Lo erode alla base, ne logora le radici. Scava l'abisso del Nord. Smotta la terra del Centro. Mette a rischio le fondamenta della sinistra.”Io purtroppo non penso che quel vizio sia stato romano e basta. Purtroppo è stato e continua ad essere anche un vizio anche nostro, qui, anche pistoiese. E non mi dite che un fiorentino non può venire a Pistoia a dire queste cose. Le ho già dette all’Assemblea regionale in cui sono stato eletto a Dicembre, a Firenze. Se volete torno a Firenze e le dico anche lì, mi pare ci sia terreno fertile dappertutto.Purtoppo i giornali quando diciamo cose coraggiose non ci sono, e si limitano a dire che siamo bravini ma un po’ silenziosi, come se studiare e formarsi fosse un peccato capitale. Come se apparire fosse sempre più importante dell’essere, per richiamare Pirandello o Rousseau.Abbiamo intitolato questa due giorni “Qualcosa che serva!” per riprendere il ritornello dell’ultimo successo degli Afterhours, il Paese è reale.Io spero che aver portato 150 ragazzi a pernottare a Montecatini, e 250 a riempirla per due giorni, possa essere servito a Qualcosa.

Nessun commento: